Questa è una delle storie del Pathos, una storia del nostro passato, quando i sette Signori delle Emozioni erano tra noi e i loro alfieri vivevano tra gli uomini e come uomini, passando di vita in vita, talvolta consci di essere coloro che erano, talvolta ignari di ciò. Dall'inizio dei tempi, sospesi tra luce e tenebra, con i loro gesti e le loro parole essi tessevano la storia a venire...
L'aria fresca di quella notte di primavera appena iniziata riempiva i polmoni dell'uomo che camminava lento per il castro pretorio. Si soffermò ad osservare il cielo terso, cercando una risposta alla domanda che da sempre era nascosta nella sua mente, retaggio di quella parte di lui che era più che umana.
Qualcuno si avvicinò silenziosamente, e l'uomo gli fece cenno di avvicinarsi. I due si trovarono faccia a faccia. Erano così diversi, uno vestito in eleganti abiti, l'altro con una tunica dimessa; erano così diversi i lineamenti romani del primo dai tratti galilei dell'altro. Eppure nel loro sguardo c'era qualcosa che li accomunava. Entrambi, lo sapevano, erano da sempre figli del signore dei misteri.
- Salve, fratello - disse il governatore - hai preso la tua decisione?
- Ormai da tempo la presi, fratello.
- Non ti capisco, architetto. Non comprendo i motivi per cui fai tutto ciò. A lungo ho riflettuto, ho pensato, ho cercato di capire; ma ancora il fine ultimo dei tuoi gesti mi sfugge.
- Non mi chiamare architetto, signore dei miraggi. Sono solo un povero galileo il cui nome ormai sarà in futuro sinonimo di traditore.
- Eppure ho come l'impressione che invece stai dando compimento dalla tua opera. Ma ancora non capisco come.
- Se tu avessi passato gli ultimi anni seguendo il Nazareno, forse capiresti. Però io ho fatto una scelta, e non so se questa sarà anche la tua scelta. Addio, fratello.
La donna di fronte al governatore era molto bella, nonostante avesse passato gli anni della giovinezza. Il suo sguardo era fiero e incantatore, la sua persona pareva emanare come un'aura d'arroganza che lasciava capire come essa fosse abituata a servirsi di tutti coloro che la circondavano.
- Cosa vuoi da me, Erodiade? E come mai sei venuta a parlarmi direttamente, invece di mandare il tuo sposo, come al tuo solito?
- La notte che sta per arrivare sarà la notte della nostra vittoria. Dopo non avrò più bisogno di servirmi di Erode. Ma tu ci servi ancora.
- Ne sono lieto. Ma cosa ti fa pensare che mi schiererò dalla vostra parte?
- Ti conosco, Pilato. Non oserai metterti contro il Sinedrio scatenando una sommossa popolare. Il tuo imperatore non ne sarà felice.
- Hai una misera opinione di me, se pensi questo.
- Non hai alcun interesse nell'impedire la nostra vittoria. Ma come sai, Erode possiede qualcosa che ti potrebbe interessare.
- Allora è vero... Uno dei quattro oggetti è in mano tua...
- E se domani il Nazareno morirà, esso passerà in mano tua... Riflettici, romano.
Il rumore della folla vociante invadeva la piazza di fronte al castro pretorio. Il procuratore Pilato si recò con la sua scorta verso l'ingresso, per accogliere i sacerdoti del tempio che avevano richiesto la sua presenza.
- Cosa vuoi da me, Caifa? - chiese.
- Ti portiamo Gesù il Nazareno, colui che ha osato proclamarsi re dei giudei, affinché sia giudicato dalla legge romana.
- È il vostro re, giudicatelo secondo la vostra legge.
- Noi non riconosciamo altro re che Cesare.
- Allora portatelo alla mia presenza - disse, per provocarli ulteriormente. Egli conosceva le leggi degli ebrei, e sapeva come avrebbero risposto.
- A noi non è concesso entrare all'interno del pretorio. Ci contamineremmo e non potremmo mangiare la Pasqua.
- Soldati, conducete il Nazareno alla mia presenza - disse allora voltandosi e iniziando a camminare verso le sue stanze.
I soldati condussero il prigioniero nella sala delle udienze. Pilato ordinò che fosse slegato e che fosse fatto sedere. Poi ordinò ai soldati di allontanarsi e sedette a sua volta. Osservò l'uomo, percependo la grandezza che egli emanava, rimanendo per qualche attimo in soggezione.
- Dunque saresti tu il re dei Giudei?
- Tu l'hai detto. Io sono re. Ma il mio regno non è di questo mondo.
- Il tuo popolo vuole la tua morte. E io invece ho il potere di renderti la libertà. Cosa hai da dire a questo proposito.
- Tu non avresti nessun potere, se non ti fosse stato dato dall'alto.
- Questo è vero. Ma rispondimi. Come ti difendi dalle accuse di coloro che vogliono la tua morte?
- Non ho bisogno di difendermi da tali accuse. Nelle mie schiere ho chiunque cerchi la verità.
La domanda che da sempre assillava Pilato giunse alle sue labbra - Che cos'è la verità?
Pilato osservò ancora il volto del Nazareno. Nel suo sguardo c'era la risposta, ma egli non la vedeva. Non ancora. Chiamò i soldati e disse - È Galileo. Conducetelo da Erode, perché egli lo interroghi. Poi riconducetelo da me.
Pilato sedeva nella sala delle udienze, appoggiando distrattamente le labbra ad un bicchiere di vino e ripensando al suo incontro con Gesù Nazareno. Come era possibile che egli non volesse difendersi, non volesse la libertà per poter proseguire il suo operato?
Una porta si aprì e sua moglie entrò nella stanza. Si versò anch'ella del vino, lo sorseggiò e disse - La notte scorsa l'ho sognato.
- Chi hai sognato? Il Nazareno?
- Sì. Egli è un uomo giusto, non merita di morire.
- È vero. Ma il popolo gli è nemico. Non voglio rischiare una sommossa.
- Ma vuoi liberarlo?
- Tu cosa hai sentito sul suo conto?
- Che è un grande profeta, un giusto, e che le sue sono parole di verità. Per questo merita di essere libero.
- Che cos'è la verità? Cos'è veramente la giustizia?
La lunga notte in cui si decideva il destino del mondo avanzava, e un piccolo uomo che sarebbe diventato grande rinnegava il suo Dio. Un eminente membro del Sinedrio, sfidando le proibizioni della sua Legge, era entrato nel Pretorio e stava ora conversando con Pilato.
- Dimmi, Nicodemo, amico mio. Nulla hai potuto fare per salvarlo?
- Mi sono schierato contro l'intero Sinedrio, ma a nulla è valso. Lo temono e lo odiano.
- Da cosa nasce quest'odio così feroce e insensato? Che cosa ha fatto, che cosa ha detto contro di loro?
- Nelle sue opere e nelle sue parole c'è la negazione stessa di tutto quello che loro rappresentano. Ma non è solo questo. Ho avuto l'impressione che la sua morte faccia parte di un disegno imperscrutabile anche per me.
- Continuo a non comprendere. Voi giudei aspettate da sempre il vostro eletto... come lo chiamate?
- Messia.
- Ed in passato altri si sono dichiarati tali, per la maggior parte dei poveri esaltati. Ma nessuno di loro è stato trattato con tale ferocia. Perché?
- Forse perché Egli lo è veramente... ci hai pensato, romano?
Il silenzio che cadde fra i due fu spezzato da Pilato che, riscuotendosi dai suoi pensieri, chiese - Tu lo conosci... parlami di Lui.
Nicodemo iniziò a parlare, narrando della vita del Nazareno e delle scritture che parlavano del Messia del popolo di Israele. E ascoltando le sue parole, Pilato comprese. Dalla sua decisione sulla vita e la morte del Nazareno sarebbe dipeso il destino del mondo. Quella notte Pilato non dormì.
Giunse l'alba e Pilato offrì ai Giudei la libertà di un condannato, sapendo che avrebbero scelto Barabba l'assassino piuttosto che Gesù il Nazareno. Era deciso, assieme a due ladri, il Messia d'Israele sarebbe morto in quel giorno.
Uscì dal castro pretorio, e si avvicinò al capo del Sinedrio, Caifa, che stava aspettando che la processione partisse verso il monte del Calvario. I due si guardarono con astio, e Pilato disse con tono ironico - Siete soddisfatto, Rabbì?
- La decisione è stata vostra, Romano. A noi non è concesso mettere a morte nessuno.
- Non siate ipocrita, Caifa. So riconoscere quando una folla è stata sobillata; il vostro odio per lui è tale che avete preferito far liberare un assassino. La decisione vera è stata vostra, io non ne ho colpa. Io potrò lavarmi le mani sporche di sangue innocente, ma voi non potrete lavare la vostra anima.
Caifa stava per rispondere quando un servo arrivò a chiedere a Pilato cosa avrebbero dovuto scrivere sulla croce, ed egli rispose - Gesù Nazareno, Re dei Giudei.
Subito Caifa intervenne - Ciò è falso, fate scrivere "Egli ha detto di essere il Re dei Giudei", questa è la verità.
Con un tono che non ammetteva repliche Pilato disse - È la vostra verità. Sulla croce verrà scritto ciò che io ho deciso.
Un servo di Erodiade venne, scortato da quattro uomini, recando con se con mille premure un oggetto avvolto in un rotolo di stoffa. Pilato stava per rimandarlo dalla sua padrona quando gli sovvenne una frase detta da Nicodemo nella scorsa notte. Prese in consegna il dono inviatogli, congedò il servo e richiamò uno degli uomini a lui più fedeli.
- Centurione Longino. Ho un incarico per te, della massima importanza. Prendi questa lancia e recati al monte Golgota.
- Obbedisco, governatore. Cosa dovrò fare una volta giunto là?
- Sicuramente verranno a chiedermi entro poco di far spezzare le gambe ai condannati, a causa della loro festa. Dovrai assicurarti che al Nazareno venga risparmiato un simile trattamento. Piuttosto userai la lancia per porre fine alle sue sofferenze. Ricordati: non gli deve essere spezzato un osso.
- Ai suoi ordini, governatore. Non dubiti, non la deluderò.
- Lo so, centurione Longino, lo so.
Era mezzogiorno quando si fece buio su tutta la terra. Il destino del mondo era deciso. Erodiade venne in quell'ora ancora da Pilato. Accolta nella sua sala disse - Devo ringraziarti ancora, Pilato. Grazie a te il Nazareno è morto e il mondo è nelle nostre mani... A proposito, hai ricevuto il mio piccolo dono? - La voce della donna fremeva di malizia, e una nota di sottilissima malvagità sembrava permeare ogni sua parola.
- L'ho ricevuto e l'ho gradito più di quanto tu possa immaginare. Ma non ringraziarmi.
- Perché non dovrei?
- Perché non vi ho fatto alcun favore. Non hai ancora capito che la morte del vostro più grande nemico è la vostra totale sconfitta? La lancia ti sarà restituita il prima possibile, visto che ritengo di non aver rispettato l'essenza dell'accordo che mi avevi proposto.
- Che stai dicendo? Non può essere...
- Certo che può essere... Hai sottovalutato il tuo nemico, non lo conoscevi abbastanza. Hai lasciato a me la scelta, e io ho scelto. Addio, Erodiade, spero che questo sia il nostro ultimo incontro...
Pilato lasciò il salone per dirigersi nelle sue stanze. Sua moglie lo stava aspettando e dallo sguardo di lei il romano comprese che anche ella aveva capito...