Odio la notte di Halloween.
Sarò ancora più esplicita: non esiste una singola notte dell'anno che odi più di questa.
Oltre il parabrezza una famiglia – padre, madre e un piccolo diavoletto con tanto di coda e forcone di plastica - sta passeggiando lungo il viale alberato, e né il vento freddo né i pericoli di questa notte sembrano poter far niente contro la loro felicità. Dopotutto per il vento basta un giaccone pesante, e per il resto – anche se loro non lo sanno – ci siamo noi.
Spero stiano andando a casa: sarebbero tre persone in meno di cui preoccuparsi. Tre persone su seicentomila, è già qualcosa.
Odio questa notte: nei sobborghi degli Stati Uniti tutte le tradizioni legate ad Halloween – il Jack'o'lantern, "dolcetto o scherzetto", i costumi macabri – costituiscono a tutti gli effetti un rituale di protezione contro i pericoli di Samhain, la notte di mezzo autunno in cui le barriere che dividono il mondo degli uomini dagli altri luoghi sono più deboli. Ma qui in Italia non abbiamo nemmeno i sobborghi, ci limitiamo a scimmiottare e copiare quello che vediamo nei film senza nemmeno provare a capirlo. E non funziona, ovviamente. Non ancora, almeno.
Fino a qualche anno fa questa era quasi una qualsiasi notte di autunno inoltrato, non c'era tanta gente per le strade. Adesso migliaia di innocenti non chiedono altro che divertirsi e rimanere vivi, vivi e ignari di ciò che nasconde la notte. Specialmente questa notte.
Allungo la mano verso il pacchetto di sigarette sul sedile del conducente: ho smesso ormai da tre anni, compro un solo pacchetto ogni 31 ottobre e lo getto via quasi vuoto alle prime luci dell'alba. Ne accendo una, gettando uno sguardo alla Lente di Leng appesa allo specchietto retrovisore. Ispiro una lunga boccata. Domattina Miriam dirà che puzzo come un posacenere turco. Pazienza.
Un gruppo di ragazzi - avranno al massimo quattordici anni - passa vociando e scherzando accanto alla mia auto. In qualsiasi altra sera i genitori non avrebbero mai permesso loro di stare fuori fino a quest'ora, ma lo permettono stasera. Se solo sapessero...
La lente è ancora inerte, devo aspettare ancora. Laura e Gabriele – gli eterni fidanzati – mi hanno detto di venire qua, e ho imparato da tempo a fidarmi di loro e dei loro talenti di divinazione: nonostante l'apparenza così tranquilla e innocua, è quasi impossibile che si sbaglino: tra poco qui succederà qualcosa che richiederà il mio intervento, anche se per ora non so ancora cosa.
Spengo la sigaretta e una fitta di dolore mi attraversa la spalla. Solo due ore fa' – succede tutti gli anni - il solito gruppuscolo di adolescenti finto-gotici ha pensato bene di intrufolarsi all'interno del cimitero monumentale e metter su la parodia di una messa nera: ovviamente hanno scelto un posto a pochi metri dal cancello dei Ghoul. Prima che riuscissi a ricacciare indietro le creature, una di esse mi è arrivata alle spalle e mi ha piantato gli artigli nella carne.
Se questa fosse una notte normale, andrei da Samir a farmela sistemare. Ma non ne ho il tempo, ho solo potuto mettere un po' di Sabbia del Marid sulla ferita: fa male, brucia, ma intanto ho evitato il peggio.
Tanto domattina ci saremo tutti da Samir. Quasi nessuno di noi riesce mai a superare completamente indenne la notte di Samhain, e alla prime luci saremo già in fila alla sua porta. Sperando di non doverci contare per poi capire che manca qualcuno. Meglio non pensarci e stringere i denti.
Un'ombra quasi impercettibile alla mia sinistra. Abbasso il finestrino e sussurro: «Buonasera, Tignola. Era da un po' che non ci vedevamo.»
I suoi occhi corrono nervosi al sedile posteriore mentre l'ombra al mio fianco risponde: «Non è una buona sera, non lo è mai.»
«Non ti preoccupare, quella non è per te. Sei fuori a spacciare polvere di fata?»
«Sei ingiusta, ragazza. Sai che non lo faccio mai, e soprattutto non lo farei mai stanotte.»
«Tranquillo, Tignola. Come sta andando per voi?»
«Le porte dell'Annwn terranno, ma è stata dura.»
«Bene. Buona fortuna allora.»
«Buona fortuna anche a te, ragazza. Che l'alba ti trovi ancora viva.»
Ecco quanto è terribile questa notte: per il resto dell'anno Tignola e la sua gente sono per noi una spina nel fianco, a parlarne in termini lusinghieri; stanotte sono nostri alleati.
Un altro gruppo di ragazzi, allegri e probabilmente ubriachi, passa a pochi metri da me. Devo ammettere che invidio la loro incoscienza. Sì, in notti come queste vorrei non sapere, vorrei che nessuno mi avesse aperto gli occhi e investito di questa responsabilità.
Quanto potrebbe essere differente questa notte? Sarei passata a prendere Miriam, tutte e due vestite da vampire o da streghette sexy o magari anche da qualche stupido personaggio preso da quei fumetti giapponesi che lei legge sempre, ci saremmo intrufolate a qualche festa, avremmo bevuto e avremmo fatto girare la testa a buona parte dei ragazzi presenti.
Miriam... Come se la starà cavando?
Prendo il cellulare dal cruscotto e faccio il suo numero. Tre squilli, poi la sua voce: «Ciao, che bello sentirti. Come va?»
«Ciao ragazzina, qui tutto nella norma, sto aspettando. E te?»
«Tutto bene. Mi sto preparando per fare un esorcismo.»
«Cosa vuol dire che stai per fare un esorcismo? E padre Gualdi?»
«Ah, il prete è bloccato con Big Mark dalla parte opposta della città; credo siano alle prese con qualcosa di grosso, li ho sentiti parecchio agitati. Ma non ti preoccupare, ho tutto sotto controllo. È solo un ragazzo posseduto da un sublunare, mica Pazuzu.»
«Se lo dici te... Stai attenta, anche i sublunari possono essere infidi e rivoltarsi contro l'abiuratore, specialmente stanotte.»
«Ti ho detto di non preoccuparti. So quello che faccio. Ci sentiamo dopo.»
«Ok. Ma stai attenta.»
«Anche te...»
Un esorcismo... Da sola... Tipico di lei. Accendo un'altra sigaretta e apro uno spiraglio del finestrino, lasciando entrare aria fresca e pulita, mentre mi chiedo come se la stiano cavando Marco e padre Gualdi.
Un'auto parcheggia proprio di fronte alla mia. Una donna avvolta in una pelliccia ecologica scende e si infila proprio nel portone di fronte. Mi chiedo se sia solo un caso. Probabilmente no.
Alzo di nuovo gli occhi verso lo specchietto e vedo la lente brillare di una tenue luminescenza violacea. La sfioro con la mano, sento una tenue vibrazione: ci siamo. Un piccolo globo luminoso si stacca dalla lente, attraversa il finestrino e punta verso il palazzo di fronte, lo stesso dove è entrata la donna in pelliccia.
Prendo il cellulare, le sigarette e la spada di ferro freddo appoggiata sul sedile posteriore. Esco dall'auto, il vento mi fa rabbrividire mentre il globo di luce sparisce oltre il portone.
Cerco di ignorare il dolore alla spalla e mi preparo ad entrare.
Dopotutto per il vento basta un giaccone pesante. Per il resto, ci siamo noi.