Racconti

www.paololucchesi.it

Racconti

La Città Eterna

Navigazione

Menu

Link

Questa è una delle storie del Pathos, una storia del nostro passato, quando i sette Signori delle Emozioni erano tra noi e i loro alfieri vivevano tra gli uomini e come uomini, passando di vita in vita, talvolta consci di essere coloro che erano, talvolta ignari di ciò. Dall'inizio dei tempi, sospesi tra luce e tenebra, con i loro gesti e le loro parole essi tessevano la storia a venire...

Solo due candele rischiaravano il piccolo studio. Egli era chino sullo scrittoio e la sua penna correva agile, tracciando parole su parole, quasi febbrilmente. Ad un tratto si udì un leggero bussare, ma egli non rispose, assorto dal suo lavoro. Con un sommesso cigolio, la porta alle sue spalle si aprì.
- È molto tardi, Giuseppe - disse la donna che era appena entrata. La sua voce tremava leggermente.
- Lo so bene, Lorenza - rispose lui - ma la mia difesa ha bisogno di essere raffinata in qualche punto.
- Allora hai deciso...
- No, Lorenza, non ho deciso. Non ho altra scelta.
- Potresti fuggire... sei ancora in tempo - dicendo questo lei gli si avvicinò. La luce delle candele illuminò il suo volto.
- Sì, lo so, e forse la mia fuga è proprio quello che loro si aspettano e desiderano. Se io fuggissi, dovrei lasciare tutto quello che ho costruito nelle loro mani, in modo che possano distruggerlo. Non ho intenzione di farlo.
- Ma questo vorrebbe dire, per te, affrontare i tribunali pontifici.
- Lorenza, mia adorata Lorenza, io comprendo quello che provi. Ma allontana i timori dal tuo animo. L'inquisizione è ormai un ricordo, ed i tribunali pontifici sono tenuti da uomini. Credi forse che affronterei tutto questo se non fossi sicuro dell'esito del processo?
- Marito mio, so che non è il momento per ricordarlo, ma anche tu hai sbagliato, in vita tua. Ricordati della collana. Non potresti sbagliarti anche questa volta?
- No, Lorenza, non questa volta. Diversi esponenti della nobiltà romana nutrono stima nei miei confronti, e ho predisposto le cose in modo che la loro influenza sia ben sentita, durante il processo.
- Ma ti è stata mossa accusa di Eresia. Non vedo quale amicizia ti possa giovare.
- Per questo ho impiegato sì tanta cura nel preparare la mia difesa. So quali accuse mi saranno rivolte, so che esse principalmente riguarderanno la mia affiliazione massonica, ed il mio esercitare le arti dell'alchimia. So come rispondere ad esse, punto su punto. Ed ho fatto in modo che la mia difesa sia presa nella giusta considerazione.
Balsamo si alzò dalla sua sedia, avvicinandosi alla sua sposa, e, tenendole una mano come per rassicurarla, continuò
- Rispondendo alle loro domande spiegherò loro come la mia fama di alchimista sia immeritata, nata da dicerie popolari prive di qualsiasi effettivo riscontro. E le logge massoniche si stanno diffondendo in tutta Europa; non potranno prendere nessuna decisione drastica in questo momento. Siamo in un momento di difficile equilibrio politico, ed io ho intenzione di prendere ogni possibile vantaggio da questa situazione. Non potranno far altro che farmi firmare una parziale dichiarazione di abiura, quella che stavo preparando proprio stasera, e lasciarmi libero.
- E questa per te sarebbe una vittoria? Sarebbe preferibile ad una fuga?
- No, non sarebbe una vittoria. Qualcuno ha voluto mettermi in una situazione difficile, e c'è riuscito. Questo è l'unico modo in cui posso uscirne, se non a testa alta, conservando la mia dignità. Ed è anche l'unico modo che mi permetterebbe di portare avanti i miei disegni.
- Lo sai, Giuseppe, mi fido di te. Ma ti amo, e non vorrei perderti. Abbiamo condiviso un'intera vita... Può sembrare poco, ma per me è... - la sua frase rimase sospesa.
Per un attimo egli si soffermò a cercare di comprendere quello che le parole di lei nascondevano, poi disse - Stai serena, Lorenza, mia dolce sposa. E non temere.
- Che farai ora?
- Devo ancora terminare di riscrivere le ultime dichiarazioni. Il mio lavoro è quasi al termine. Attendimi desta, ti prego, poiché stanotte ti vorrei amare.
- Ti attenderò - rispose lei e sorridendo si volse per sparire nell'oscurità della stanza, verso la porta.

Il mattino seguente una carrozza trainata da quattro cavalli bianchi trasportò Giuseppe Balsamo fino alle aule vaticane. Egli fu scortato all'interno, seguendo corridoi dopo corridoi, salendo e scendendo scale. Il suo volto era sereno, il suo sguardo sicuro, ma mentre i suoi passi attraversavano quelle stanze, il suo animo iniziava a trepidare. C'era qualcosa di sbagliato, in quel troppo lungo percorso labirintico. Ad un certo punto Balsamo fu quasi sicuro di trovarsi fuori dagli edifici vaticani, in qualche altra parte di Roma.
Finalmente quel tragitto, che iniziava a parere infinito, terminò. Egli arrivò di fronte ad una porta e gli uomini che lo scortavano si arrestarono. Uno di essi gli disse, quasi con una certa deferenza, di entrare. Balsamo osservò per un attimo i volti di coloro che lo avevano accompagnato fino a quel luogo, ed in essi vide imbarazzo, forse anche una punta di terrore, ed un forte desiderio di allontanarsi da quel luogo. Sentì per un attimo le gambe che gli tremavano, ma facendosi coraggio, afferrò la maniglia in ottone ed entrò.
La porta fu chiusa alle sue spalle ed egli si trovò in una piccola stanza. Di fronte a lui, su quattro comode poltrone, quattro persone lo osservavano. Egli non conosceva nessuno di loro, ed essi non indossavano abiti talari, ma ricche vesti di colore nero. Di fronte a loro era posta una quinta poltrona, e quello che sedeva all'estrema destra fece cenno di accomodarsi.
Senza dire una parola, Balsamo raggiunse il suo posto e si sedette. La sensazione che aveva provato prima si faceva di momento in momento più forte. Le cose non dovevano andare così. Tutto quello che aveva supposto, tutto quello che aveva organizzato, si stava dissolvendo in una nuvola di fumo.
L'innaturale silenzio che regnava in quella stanza fu interrotto dall'uomo che occupava una delle posizioni centrali, e che esordì dicendo - Signori, come ben sapete siamo qua per giudicare Giuseppe Balsamo, sedicente Alessandro, Conte di Cagliostro, avventuriero, alchimista e fondatore dell'ordine della massoneria di rito egizio.
La sensazione di sollievo che provò Balsamo nel sentire quelle accuse familiari fu di breve durata. Infatti, subito dopo l'uomo riprese - Ma non sono questi i motivi per i quali Balsamo verrà da noi giudicato. Egli, infatti, è accusato di esser parte di una setta che esiste da secoli ed ha come scopo il sovvertimento del potere temporale e spirituale di Santa Romana Chiesa, e di ogni potestà in Europa e nel mondo intero. Vuole pronunciarsi a questo proposito, Conte?
Stupefatto da queste parole, Balsamo ebbe solo la prontezza di dire - I motivi di tale accusa mi sono ignoti, signori, ma posso assicurarvi, senza desiderio di offendervi, che ciò che voi dite è completamente falso.
- Questo è quello che sostiene lei, Conte - intervenne l'uomo seduto alla sinistra - Ma noi sappiamo quale è la verità. Noi sappiamo che da sempre lei è parte di tale setta.
- E inoltre, se posso continuare - riprese l'uomo che aveva parlato prima - Giuseppe Balsamo è accusato, al pari dei suoi confratelli, di gravissima eresia. Infatti, è noto a tutti voi che essi negano l'Onnipotente e venerano al suo posto sette dei o demoni, rappresentanti delle più turpi passioni umane. Come vede, Conte, sappiamo molte cose su di voi. Ritengo che sia inutile per lei negare.
Per un attimo, sentendo quelle parole, Balsamo ricordò qualcosa, forse un sogno avuto molto tempo prima. Un sogno in cui veramente sette entità regnavano sulla terra. Ma fu solo un attimo, e subito dopo egli si riprese dicendo - Continuo ad ignorare completamente ciò di cui voi parlate e a ritenere false e ridicole le vostre parole. Non so chi abbia voluto danneggiarmi in tal modo, ma posso assicurarvi sulla mia innocenza.
- Forse il Conte non sta mentendo - disse l'uomo seduto a destra, quello che aveva invitato Balsamo a sedersi - Forse davvero lui non sa e non capisce ciò di cui stiamo parlando. Potrei anche credere, a questo punto, che noi sappiamo su di lui molto di più di quanto egli stesso sappia.
Il più anziano dei quattro, che ancora non aveva proferito parola, disse di risposta - Ciò può essere vero, ma non cambia assolutamente la sostanza dei fatti. Che egli sia cosciente o incosciente, non ha importanza, poiché le sue azioni, lungo tutto il corso della sua vita, sono state sempre favorevoli alla setta di cui egli fa parte, e contrarie a quello che noi sosteniamo. Credevamo, dopo la caduta di Costantinopoli, di aver relegato i loro dei nell'oblio e di averli portati alla definitiva sconfitta, ma ancora una volta ci accorgiamo che non è così. Cagliostro ed i suoi confratelli, servitori, talvolta ignari, di padroni dimenticati, rappresentano ancora il più grave pericolo che dobbiamo fronteggiare. Egli forse ignora di essere un servo dell'ignoto, o forse sta mentendo, ma questo a noi non deve interessare. Poiché egli è servo dell'ignoto. E come tale va trattato.

Il silenzio seguì le sue parole. Balsamo era incapace di proferire parola, in parte per lo stupore destato in lui da quelle parole, in parte per il terrore che lo stava attanagliando. La sua difesa, preparata in lunghe notti insonni, era inutile, tutto quello che aveva creato nella vita era inutile, forse la sua vita stessa era inutile.
- Nessuno di noi credo sia in disaccordo con le parole del nostro superiore - disse poco qualche attimo colui che era stato il primo a parlare - Ed è quindi chiaro a tutti, come lo era da principio, quale debba essere la nostra decisione. Perciò ordino che Giuseppe Balsamo, sedicente Alessandro, Conte di Cagliostro, venga imprigionato nelle segrete della rocca di San Leo fino al giorno della sua morte.

Erano passati sei mesi, dal giorno del processo. Balsamo languiva nella cella chiamata "il pozzetto", nella rocca di San Leo. Le tenebre gli erano compagne, giorno e notte, poiché solo un flebile raggio di luce filtrava dalla piccola finestra posta troppo in alto.
Da quel giorno aveva avuto molto tempo per riflettere e per sognare. Quale scherzo del destino era quello. Proprio le parole dei suoi accusatori gli avevano rivelato chi era veramente. Ed ora lui lo sapeva, ora sapeva la verità, o almeno una delle molte verità. Ma adesso era completamente inerme.
Ad un tratto udì una voce venire dalla piccola inferriata. Una familiare voce femminile che lo chiamava. Egli rivolse la testa verso l'alto e rispose - Lorenza...
- Mio sposo, volevo sentire ancora una volta la tua voce.
- Come sei riuscita ad arrivare fino a qua?
- Non è stato facile. Non so quanto potrò rimanere, né so se e quando potrò tornare.
- Sono felice che tu sia qui. Mi conforta il sentirti vicina. Cosa darei per poter vedere il tuo volto...
- Addio, Giuseppe... - la sua voce era rotta dal pianto.
- Non è un addio... Non chiedermi quando, ma saremo di nuovo vicini...
- Ma come...?
- Non lo so... Ci sono molte cose che non so... e che solo ora si stanno rivelando...
- Si, hai ragione... ci incontreremo ancora...
- Non sarà presto...
- Sta arrivando qualcuno, devo andare...
- Ti amo, Lorenza, mia sposa...
- Ti amo...
- Chi sei veramente, Lorenza?
Non ci fu risposta.