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Paride incontrò le tre dee in un venerdì di tardo aprile.
Il sole era alto nel cielo, caldo e brillante, la campagna gioiva in quella promessa d'estate, gli storni volavano verso nord e in lontananza si iniziavano a vedere i miraggi d'acqua sull'asfalto dell'autostrada.
Paride stava seduto da solo, in un tavolino in disparte all'interno di un Autogrill quasi deserto, di fronte alla metà rimanente di un panino pagato troppo caro e a un misero bicchier d'acqua gassata. Del pranzo, se così poteva essere chiamato, non gli importava poi granché, in fondo non vedeva l'ora di prendersi un caffè e risalire in auto: davanti a sé aveva altri tre potenziali clienti e almeno altri 180 chilometri prima di poter tornare al suo piccolo appartamento. Per fortuna la serata era già organizzata, un banchetto a casa di Dardano dove ci sarebbe dovuta essere anche quella ragazza carina: il nome lo aveva dimenticato, ma lei gli aveva detto che somigliava a Orlando Bloom, e questo lui se lo ricordava bene. Sorrise compiaciuto tra sé e sé: sapeva di essere bello, ma sentirselo dire era sempre piacevole.
Stava quasi per alzarsi quando le tre dee arrivarono e si sedettero al suo tavolo. E quando tre dee si siedono al tuo tavolo puoi anche non venerarle, ma come minimo le stai ad ascoltare, se non altro per cortesia.
«Ciao», disse una delle tre, quella vestita in hot pants e con una camicetta dalla scollatura profonda, «Ti piacciamo, io e le mie amiche? Chi è la più carina tra noi? Sono io, vero? Certo che sono io...»
«Non fare come al tuo solito la puttanella, Afrodite», la interruppe la seconda, vestita in blue jeans, giubbotto di pelle da motociclista e occhiali a specchio, «Così lo confondi e basta.»
«Non lo confondo per niente, stronzetta.»
Intervenne la terza dea, alta, vestita con l'abito lungo, nero e attillato: «Ragazze, i patti erano chiari: adesso spieghiamo a Paride tutta la faccenda e dopo lui sceglie in piena libertà. Va bene?»
Paride approfittò del momento di pausa per osservare meglio le tre dee di fronte a lui: cose del genere non capitavano spesso, e ancor meno spesso capitavano in un Autogrill. E soprattutto non capitavano mai di venerdì.
Oltre le larghe finestre, lungo il fosso che costeggiava l'autostrada, le rane affrontavano il sole pur di cantare gioiosamente gli inni sacri.
«Dunque, bel giovane», riprese la dea vestita in lungo, «abbiamo bisogno di te, abbiamo un piccolo problema e solo tu puoi aiutarci a risolverlo.»
Di nuovo Paride si prese il suo tempo; se davvero avevano bisogno di lui, la giornata si faceva di colpo più interessante. Si appoggiò allo schienale della sedia e si guardò intorno: poco più in là l'autista delle tre dee - il dio con i pattini a rotelle alati e il caduceo di plastica - era riuscito in qualche modo a farsi servire una birra alla spina, ma per il resto sembrava non ci fosse nessun altro. L'orologio sopra il bancone segnava appena le due del pomeriggio, tutto sommato aveva un po' di tempo da perdere.
«Bene, ragazze», disse con tono sfacciato, «se mi cercavate, mi avete trovato. Sono vostro. Di cosa avete bisogno?»
«Devi solo dire che sono io la più bella tra noi tre», disse allegramente miss hot pants.
«Basta, Afrodite!», la rimbrottò la dea dal lungo vestito nero, «Atena, per favore, racconta tu la storia. Io mi annoio a parlare troppo.»
«Grazie, Era», rispose la dea in giubbotto di pelle, per poi continuare: «L'altra sera eravamo nel privé del Disco Acropolis con un po' di amici e colleghi, una festicciola informale tra di noi, niente di ufficiale. La serata iniziava appena a scaldarsi, eravamo al terzo cocktail e giravano le prime canne, quando di colpo vediamo entrare una nostra amica...»
«Amica per modo di dire, e ovviamente non era stata invitata: è una piantagrane e probabilmente porta anche sfiga», si sentì in dovere di puntualizzare Afrodite.
«Ma se all'inizio non ti eri nemmeno accorta di nulla, già appartata in un angolo con Alcione?»
«Invidiosa della mia nuova ninfettina? La prossima volta inviteremo anche te, se vorrai. Contenta?»
«Lasciami continuare... A quel punto, invece di farci una scenata per essere stata esclusa, questa tira fuori dalla borsetta una mela d'oro, destinata a suo dire alla più bella tra noi. Poi lancia questa stupida mela in mezzo alla stanza e così come era venuta se ne va, ovviamente senza salutare.»
«E altrettanto ovviamente», proseguì Era, «ognuna di noi tre era convinta di aver innegabile diritto a quel premio; anche Afrodite aveva lasciato da parte la sua ninfa ed era corsa a far valere le sue ragioni.»
A quel punto l'autista scivolò silenzioso vicino a loro, scambiò uno sguardo d'intesa con Paride e posò sul tavolo una grossa mela di un metallo giallo che poteva somigliare davvero all'oro; su di essa era incisa una parola incomprensibile, scritta forse in lettere greche. Il racconto era finito; Paride sorrise beffardo e disse: «Una storiellina molto interessante. E cosa dovrei fare io?»
«Semplicemente decidere chi tra noi è la più bella», rispose Atena.
«Tutto qui? Allora...»
«Aspetta», lo fermò Era, «Tu sai chi sono io?»
«Non mi pare ci abbiano mai presentato, bellezza.»
«Io sono Era Sormani Galeni, socia di maggioranza e amministratrice delegata della finanziaria Olimpo S.p.A. Se tu sceglierai me, io posso garantirti un posto da alto dirigente nella mia azienda, ovviamente con uno stipendio adeguato.»
«Un'offerta interessante.»
«Non dovrai più fare il rappresentante di prodotti in lana Merino. Avrai soldi e potere, potrai avere ogni cosa tu desideri. Basta soltanto dire la verità: sono io la più bella.»
Invitante, ma Paride sapeva di essere solo all'inizio. Attese.
Un attimo dopo Atena si tolse gli occhiali a specchio, si avvicinò di qualche centimetro al giovane e disse: «Io invece sono Atena Palladi, la talent scout delle Muse. Io posso fare di te una persona famosa, una star del mondo dello spettacolo: ti insegnerò a essere un vero uomo, a far capire agli altri che dietro quel bel volto non c'è solo una testolina vuota. Ti donerò il carisma. E il successo.»
«E come diventerò famoso?», chiese lui.
«Scegli tu: attore, cantante, presentatore, ballerino, aedo... I produttori faranno la fila per averti nei loro film, nei loro show, alle loro corti. Avrai soldi e etère in abbondanza, ovviamente. Non devi fare niente, solo ammettere che sono io la più bella, niente di più.»
La seconda proposta era arrivata, ne mancava una. Paride si voltò verso la terza dea e chiese: «E tu cosa mi offrirai, tesoro?»
Afrodite si avvicinò a Paride attraverso il tavolo, lasciando cadere lo sguardo di lui nella generosa scollatura, facendogli ben più che intravedere quel seno perfetto per cui molti erano impazziti. La sua voce si fece calda: «Io sono Afrodite Labelle, non credo di dover aggiungere altro. Io non ti offro fama o potere: se sceglierai me, se darai a me quella mela, ebbene, io ti donerò l'amore della donna più bella... beh, dopo di me, ovviamente.»
«La più bella del mondo? O della mia città? O tra le ragazze che conosco?»
«Non fa differenza. Sai benissimo di chi sto parlando.»
Sicuramente si trattava di Elena, la donna di quel cretino di Menelao Atreide; ancora Paride non riusciva spiegarsi come potesse uno schianto di ragazza del genere stare con quell'idiota.
«Grazie, ragazze. Lasciatemi pensare...»
Ora, se la storia fosse andata come doveva andare, Paride avrebbe accettato l'offerta di Afrodite scegliendola come la più bella tra le dee, e avrebbe portato via Elena a Menelao, dando inizio così a una guerra che avrebbe significato la fine della civiltà come la conosciamo: per un inesorabile domino di eventi entro pochi anni le città sarebbero state solo cumuli di macerie cadute sotto l'ira nucleare degli dei e degli uomini e una cappa nera si sarebbe stesa tra cielo e terra.
Anche se avesse scelto l'offerta di una delle altre due dee, se avesse scelto Era o Atena, il potere o la fama, se avesse dato a una di loro il pomo d'aureo metallo, niente sarebbe cambiato, il destino del nostro mondo sarebbe stato comunque segnato, la catastrofe sarebbe stata inevitabile.
Ma per nostra fortuna Paride era un uomo semplice, un uomo di poca immaginazione e di pochi desideri.
Infatti lui osservò le tre dee, una dopo l'altra, poi disse in tono solenne: «Ragazze, siete sicuramente tutte e tre bellissime, e le vostre offerte sono sicuramente allettanti. Però sapete una cosa? Io sono sicuro di essere più bello di ciascuna di voi tre, o anche di voi tre messe insieme.»
Le tre dee (e il dio dai pattini alati) lo fissarono sbigottite, ma lui raccolse la mela dal tavolo e continuò: «E perciò questa dovrebbe spettare a me. Farà una bellissima figura tra la coppa per il secondo posto al torneo di calcetto e la targa come miglior venditore del mese. Afrodite, se vuoi chiamami qualche volta.»
Detto questo, si alzò senza aspettare risposta e uscì nel caldo del primo pomeriggio, dirigendosi verso l'auto. Entrò, posò la mela sul cruscotto e accese il motore.
Aveva davanti a sé ancora tre clienti e 180 chilometri di strada.
Le rane continuavano a cantare.